23 marzo 2011
Caorso e Fukushima
Emerge una interessante analogia impiantistica tra i reattori giapponesi di Fukushima e la centrale elettronucleare di Caorso, dismessa a seguito del referendum del 1987. Referendum al quale io, allora diciottenne, votai con due si ed un no. I reattori, pur se di epoche differenti, sono funzionalmente identici: entrambi sono reattori ad acqua bollente (BWR) costruiti in collaborazione con General Electric. In particolare il reattore di Caorso era un BWR – 6 realizzato da Ansaldo Meccanico-Nucleare, mentre quelli di Fukushima, più vecchi e meno evoluti ( BWR -3 e BWR – 4) , furono costruiti da Toshiba ed Hitachi.
E’ a seguito di questa analogia che posto un’interessantissima intervista d’archivio (1). Giuseppe Turani di Repubblica intervista Giuseppe Arcelli, l’allora Direttore Generale di Ansaldo Meccanico – Nucleare costruttrice della centrale nucleare di Caorso.
Facciamo il caso di un attacco terroristico a Caorso. Che cosa succede?
Noi non parliamo mai di attacco terroristico. Preferiamo l’espressione “eventi esterni”: un attacco, un camion di dinamite che esplode nei pressi dell’impianto, e altre cose di questo genere.
Ma se un gruppo si armasse e decidesse di partire all’assalto della centrale?
Ci sono diecine e diecine di modi per penetrare in una centrale e danneggiarla. Però sono stati tutti previsti. Ci sono diverse barriere da superare, e poi tutta una serie di sorprese che non posso ovviamente rivelare, ma che sono molto efficaci. Sotto questo punto di vista la centrale è imprendibile: è un bunker.
Potrebbero sparare da fuori, con un missile.
E forare un muro di cemento armato di quasi un metro e mezzo di spessore e poi un rivestimento in acciaio di quasi 14 centimetri di spessore? Ridicolo.
Potrebbe verificarsi un terremoto.
Ad esempio uno della forza di quello del Friuli. In questo caso Caorso avrebbe continuato a produrre tranquillamente, senza nemmeno fermarsi. Di fronte ad un terremoto molto più forte, l’impianto invece si spegne, ma non c’è pericolo per la gente.
Insomma, avete previsto tutto.
Abbiamo fatto del nostro meglio. Non siamo dilettanti, siamo in stretto contatto con gli americani, che hanno più esperienza di noi. Proprio la settimana scorsa sono stato negli Stati Uniti, a Tulsa, nel centro della General Electric. Là c’è un simulatore, cioè un simulatore, cioè un calcolatore che riproduce fedelmente una centrale nucleare. L’operatore si mette davanti al quadro di comando e “inventa” tutti i guasti possibili ed immaginabili.
Vogliamo simulare noi un incidente?
Ma quale?
Uno semplice, ma micidiale, un evento possibile.
Un piccolo terremoto va bene?
Proviamo. La terra trema, che cosa accade?
Alla centrale niente. Fuori, invece, cadono i tralicci dell’alta tensione che portano l’energia prodotta da Caorso verso la rete (non sono antisismici). Allora la turbina si ferma perché non sa più dove mandare l’energia elettrica. Bisogna spegnere il reattore.
E non si può chiudere il rubinetto della benzina. Qui c’è una reazione nucleare in corso.
Certamente. Bisogna inserire nel reattore le barre di controllo. E’ come se, di fronte ad un incendio, potessimo togliere l’aria: il fuoco si spegne. Le barre di controllo hanno questa funzione.
E come si inseriscono?
Automaticamente. Si ferma la turbina, e allora si mette in moto una pompa che in pochi decimi di secondo sbatte le 137 barre di controllo dentro al reattore.
La pompa è rotta.
C’è una riserva. Le barre sono collegate con una specie di grossa bombola di azoto sotto pressione. Si apre la valvola e l’azoto lancia le barre dentro al reattore. Si apre la valvola e l’azoto lancia le barre dentro il reattore.
La valvola non si apre.
Poiché il reattore si sta scaldando, dentro c’è vapore sotto pressione. Si apre un’altra valvola ed è lo stesso vapore del reattore, attraverso un apposito circuito, che fa salire le barre.
Le barre non scorrono, si sono piegate, si sono rotte, c’è un bullone che le blocca. Non lo so ma c’è qualcosa che impedisce loro di muoversi.
Tutte le 137 barre?
Tutte
Allora si apre una valvola che scarica una soluzione di boro dentro il reattore. Il boro ha la stessa funzione delle barre: toglie l'”aria” al reattore, che si ferma in pochi decimi di secondo.
Il reattore è pero’ caldissimo. Va raffreddato, altrimenti la pressione sale e il tutto può esplodere, come una pentola. E qui non potete togliere il coperchio: dentro c’è materiale radioattivo, pericolosissimo.
Esatto, immediatamente entrano in funzione delle pompe che scaricano acqua fredda nel reattore. Quest’acqua si trova già dentro il reattore, in un locale apposito. Non viene a contatto con l’esterno.
Queste pompe possono rompersi, al centrale, fra l’altro, è ferma perché manca la luce.
Ci sono tre diversi sistemi di pompe, con parecchie pompe e ognuna di esse è alimentata anche da un motore diesel, che si mette automaticamente in moto.
Si rompono tutti.
Nello stesso momento?
Si.
Allora sale la pressione del vapore, contenuto nel reattore. Si apre una valvola e questo vapore va ad alimentare una turbina, che a sua volta fa girare una pompa. Questa pompa pesca l’acqua fredda del reattore e raffredda l’impianto. E’ il reattore stesso, cioè, a provvedere al proprio raffreddamento. Il fenomeno pericoloso, in questo caso il surriscaldamento del vapore, provvede ad autoeliminarsi, mettendo in moto un meccanismo che porta al raffreddamento dell’impianto.
E se cade un aereo sulla centrale?
Caorso non è protetta in modo particolare contro questo evento. Quella di Montalto di Castro invece lo sarà.
Perché Caorso no?
Perché, francamente, è inutile. In America nessuna centrale lo è. D’altra parte nemmeno gli stadi di calcio, dove alla domenica ci sono 60-70 mila persone lo sono.
Caorso, insomma, è supersicura.
Abbiamo fatto tutto il possibile.
Però non la garantite al cento per cento.
Conosce la storia si quel tale che dava gli esami da capostazione? Ci sono due treni rapidi, gli dicono, che arrivano da direzioni opposte sullo stesso binario, che cosa fai? Niente paura, dice lui. Aziono gli scambi e li metto su due binari diversi così non si scontrano. Gli scambi però sono rotti. Bene, allora accendo i due semafori rossi e fermo i treni, riparo gli scambi e poi via. I semafori non funzionano. Bene, metto le cariche di petardi sui binari per segnalare ai macchinisti di fermarsi. Ma i petardi sono bagnati e sai che non esploderanno. Bene, con il mio assistente vado lungo i binari e con una bandierina rossa fermiamo i treni. Ma c’è la nebbia non vi vedranno. Sapere allora che faccio? Chiamo mia moglie e le dico: vieni a vedere il più grande incidente ferroviario della storia.
(1) Tratta da: Schiavi G.G., Nucleare all’italiana, Franco Angeli ed., Milano, 1987
Scritto il 23-3-2011 alle ore 19:45
Mondiale la storia del capostazione…
Saluti
Scritto il 23-3-2011 alle ore 23:22
vero: la storia del capostazione è l’unica cosa credibile di quell’intervista: per il resto è puro ufficio marketing
Scritto il 11-4-2011 alle ore 23:01
ma al referendum c’erano tre voti da fare all’epoca?
cavolo non lo ricordavo
comunque bel racconto e soprattutto bella intervista… non se ne fanno più di simili: ci si becca insulti se si fanno quelle domande lì – oltre alla nuova generazione di centrali nucleari è cambiato il mondo… con più tecnologia e meno umanità…
Scritto il 12-4-2011 alle ore 10:53
Si, tre voti… ed ora, il 12 Giugno, ce n’è un altro.
Oggi hanno portato l’incidente in Giappone al livello 7 della scala INES.
Un disastro.
Scritto il 22-8-2012 alle ore 21:42
Fukushima e’ attualmente candidata per il nuovo livello 8 INES.
Niente di quello che e’ menzionato nell’intervista ha funzionato a Fukushima: elettricita’ dall’esterno interrotta, generatori di emergenza allagati, batterie inutilizzabili, pannelli di distribuzione all’interno dell’impianto interrotti, valvole che non possono essere azionate, pompe di raffreddamento allagate, tubazioni danneggiate dal terremoto.
Una Caporetto, tre meltdown. Io vivo a Tokyo pero’ non ho fatto come il capostazione: ho preso moglie e figli e me li sono portati subito a Kyoto, a 600km da Fukushima.
Soprattutto dopo i recenti terremoti in Emilia gli Italiani devono essere orgogliosi della loro scelta antinucleare.