27 settembre 2010
Incidenti sul lavoro o Cigni Neri?
Nassim Nicholas Taleb, nel suo recente libro, postula che il nostro vivere quotidiano sia potenzialmente costellato da accadimenti imprevisti, imprevedibili e dotati di danno inaudito. Egli li chiama Cigni Neri.
I Cigni Neri sono dunque eventi in grado di modificare irreversibilmente la vita delle persone e risultano, a parere di Taleb, difficili da prevedere. Le cause degli stessi sono individuabili solo con il “senno di poi”, ponendoci all’esterno dell’evento stesso e contemplandone i prodromi solo alla luce delle conseguenze che essi hanno manifestato.
Possiamo includere tutti gli infortuni sul lavoro nella categoria dei Cigni Neri? Probabilmente no, nella maggior parte dei casi. Pur non essendo escludibile a priori che un incidente determini un infortunio al suo primo manifestarsi, risulta tuttavia poco probabile, per le ragioni che vedremo. In generale, infatti, l’infortunio si può manifestare in seguito a ripetute azioni inidonee e/o imprudenti in date condizioni di rischio. Inviare sms in auto mentre si guida probabilmente non genererà un incidente stradale al primo “invio”. Ma tale comportamento, se protratto nel tempo determinerà, prima o poi, un esito catastrofico.
Nell’ambito della sicurezza dei luoghi di lavoro, si può essere quindi parzialmente d’accordo con l’economista americano di origine libanese. Una buona maggioranza di infortuni sul lavoro risultano infatti anticipati da incidenti che nella maggior parte dei casi non causano infortuni a persone o danni a cose.
A questo aggiungiamo che non sempre tutto ciò che può accadere risulta prevedibile a priori. Infatti, non tutti gli scenari incidentali possibili risultano anche credibili e non sempre l’analista e/o il datore di lavoro, impegnati nelle valutazioni del rischio preventive, riescono ad analizzare tutte le articolazioni possibili di tale scenario. Le risorse per l’analisi sono finite mentre gli scenari incidentali possibili risultano tecnicamente illimitati. Dow Chemical Company, a questo proposito, fornisce i seguenti criteri per “scremare” gli scenari di rischio credibile (e quindi meritevoli di approfondimento di valutazione) dall’insieme degli scenari di incidente possibile:
1) Ogni singolo evento che possa ragionevolmente accadere è uno scenario credibile;
2) Scenari che necessitino, per manifestarsi, l’accadimento di due o più eventi totalmente indipendenti tra loro non sono credibili;
3) Scenari che necessitino, per manifestarsi, l’accadimento di più di due eventi in sequenza non sono scenari credibili;
4) Un guasto che si verifica mentre un dispositivo a funzionamento indipendente è in attesa di riparazione si può inquadrare come un guasto che accade durante il periodo dell’apertura dell’emergenza ed è quindi credibile. La mancanza di disponibilità del dispositivo non riparato è una condizione preesistente.
Il Cigno Nero può quindi apparire per un difetto di previsione connaturato alla natura stessa della metodologia di valutazione del rischio. Al di là del settore dei grandi rischi industriali, anche tutte le analisi e valutazioni del rischio condotte in applicazione del D.Lgs. n. 81/08 possiedono un certo grado di affidabilità, che non sarà tuttavia mai assoluta.
Sia l’analista sia il datore di lavoro (e le molte altre figure che partecipano al processo di analisi e valutazione dei rischi) fondano le loro valutazioni su previsioni e simulazioni e non su divinazioni, come purtroppo alcune sentenze della magistratura, elaborate sulla scorta del “senno di poi”, lascerebbero intendere. Non tutto è prevedibile e non tutto è prevenibile a priori.
L’adozione del “senno di poi” nelle indagini successive all’infortunio illumina invece l’evento incidentale da una prospettiva radicalmente differente rispetto a quella presente prima dell’evento stesso. Il “senno di poi” rende a posteriori credibili anche scenari di rischio che erano semplicemente possibili in fase di analisi preventiva.
La perturbazione introdotta dal “senno di poi” è rilevantissima dato che:
1)“il senno di poi” permette di guardare indietro, dall’esterno, la sequenza di eventi che hanno portato all’evento che già si conosce (perchè si è manifestato);
2)“il senno di poi” fornisce un accesso quasi illimitato alla vera natura della situazione che circonda le persone al momento dell’evento;
3)“il senno di poi” permette di individuare ciò che le persone non hanno fatto ma avrebbero potuto/dovuto fare.
Tale approccio induce una pericolosa equivalenza tra le cause e le relative conseguenze che, in molti casi, prima dell’evento incidentale risultano inconoscibili a chi le vive direttamente.
Un miglioramento dell’affidabilità delle metodologie di valutazione del rischio è permesso dall’analisi degli incidenti accaduti nel passato, siano essi stati causa o meno di infortunio o di danni materiali.
Osserviamo infatti che gli infortuni sul lavoro e la loro gravità risultano, in genere, correlati all’insieme degli incidenti che avvengono durante i normali cicli di produzione aziendale. Alcuni studi evidenziano e dimostrano questa nostra considerazione preliminare.
Il primo, e più citato, è stato pubblicato nel 1959 da William Heinrich; in esso si conclude che il rapporto tra gli incidenti che causano infortuni gravi/infortuni non gravi/nessuna lesione risulta pari a 1/29/300.
Più recentemente (1985) Bird, studiando 1,75 milioni di incidenti sul lavoro accaduti in Germania deduce che il rapporto tra incidenti che causano infortuni gravi/infortuni non gravi/danneggiamenti alla proprietà/nessuna conseguenza sono in relazione tra loro secondo il seguente rapporto: 1/10/30/600.
Pure l’HSE Britannico si è cimentato nella verifica delle conseguenze degli incidenti sul lavoro e queste sono le loro conclusioni: il rapporto tra infortuni invalidanti/infortuni minori/infortuni da primo soccorso/danni alla proprietà/nessuna conseguenza è pari a 1/3/50/80/400. A questo proposito l’HSE propone una sezione tematica molto interessante relativa al calcolo dei costi dovuti ad incidenti sul lavoro.
Le precedenti considerazioni ci spingono quindi a considerare sia l’incidente, sia l’infortunio grave, sia l’infortunio non grave, come eventi collegati tra loro. In particolare, al di là delle differenze numeriche presenti nei vari studi, possiamo assumere che nell’insieme complessivo degli incidenti che accadono sul luogo di lavoro, una grande parte non causerà danni significativi, una parte minore (1-10%) causerà infortuni reversibili ed una frazione molto limitata, inferiore all’1% può causare infortuni dalle conseguenze permanenti. Una possibile rappresentazione grafica di quanto detto è la seguente (cd. piramide di Heinrich), dove N1, N2 ed N3 rappresentano rispettivamente le percentuali relative agli infortuni invalidanti, infortuni temporanei ed incidenti privi di conseguenze.
Questa modalità di collegare tra loro gli eventi consente di concludere che solo una riduzione complessiva del numero degli incidenti permette una reale limitazione del tasso infortunistico aziendale. A questo fine si rende pertanto indispensabile un’analisi post incidentale non limitata ai soli eventi apicali (infortunio invalidante e temporaneo). Solo una riduzione del numero complessivo degli incidenti (attraverso misure di prevenzione e protezione) consente una complessiva riduzione degli eventi con coinvolgimento dei lavoratori. A questo proposito, l’art. 4.5.3 della norma gestionale OHSAS 18001 prevede che l’organizzazione stabilisca, attui e mantenga attiva una procedura per registare, investigare ed analizzare gli incidenti accaduti nel luogo di lavoro. Le azioni correttive conseguenti contribuiranno a limitare gli eventi posti alla base degli infortuni sul lavoro.
Le modalità di indagine dovranno tuttavia essere il più possibile svincolate dall’approccio perturbante del “senno di poi”.
Concludendo, la risposta alla domanda: “l’infortunio sul lavoro è sempre un Cigno Nero?” è no, nella maggior parte dei casi. Le cause che portano all’infortunio sono infatti prevenibili attraverso una metodologia di valutazione affidabile ed, in ogni caso, risultano già scritte all’interno degli incidenti che non hanno generato lesioni ai lavoratori. Un’accurata indagine su tutti gli incidenti può consentire una reale e stabile riduzione del tasso infortunistico aziendale.
Tuttavia il Cigno Nero può purtroppo manifestarsi insinuandosi negli scenari di rischio possibili ma non credibili oppure generando l’infortunio al primo atto imprudente compiuto dal lavoratore.
PS – Concludiamo con una nota positiva. Finalmente è stata decisa e realizzata una bella campagna nazionale di sensibilizzazione alla sicurezza nei luoghi di lavoro, realizzata dal Ministero del Lavoro. Speriamo possa contribuire a rendere più consapevoli i vari attori della sicurezza, a tutti i livelli, dell’importanza dei comportamenti sicuri sul luogo di lavoro.
Scritto il 27-9-2010 alle ore 11:40
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Scritto il 28-9-2010 alle ore 11:06
articolo stimolante e tema on considerazioni da meditare. ma faremo progressi? grazieper l’articolo fuori dai soliti schemi, Cesare
Scritto il 28-9-2010 alle ore 16:03
Post molto interessante!
Volevo sapere se per caso vi sono anche studi analoghi condotti in italia.
Scritto il 28-9-2010 alle ore 18:21
Chapeau…
Scritto benissimo e con grande sensibilità, nonostante l’approccio tecnico.
Grazie per il filmato sull’invio di sms alla guida: adesso non dormirò per giorni…
Scritto il 28-9-2010 alle ore 20:50
Grazie a tutti.
@ a.mari: che io sappia no e comunque non dell’estensione degli studi citati.
@ andrea rotella: già, il filmato è molto forte. Ma pure il problema lo è. Pare che usare il cellulare in auto sia assimilabile alla guida in stato di ebbrezza.
http://casellario.inail.it/cci/Informazioni/Canali_tematici/Sicurezza_stradale/Indice_cronologico/2010/Settembre/info77786138.jsp
Scritto il 28-9-2010 alle ore 21:55
cavolo il sms in auto
ho letto un commento sulla campagna del ministero che diceva che in pratica la colpa degli infortuni e quindi la responsabilizzazione sembra messa a carico dei lavoratori… ma è vero? (non guardo la tv, scusate)
Scritto il 1-10-2010 alle ore 11:43
grazie marzio molto interessante.
però a mio modestissimo avviso dopo bhopal la DOW.c. potrebbe anche risparmiarsi di dare lezioni.
E’ come se la B.P. scrivesse un libro per bambini sulla tutela del mare bbbluuuu.
oppure è come se Scajola tenesse una lezione ai notai sulla compravendita di beni immobili….
scusate lo sfogo. ancora grazie
Scritto il 1-10-2010 alle ore 13:27
E’ una triste data il 3 dicembre 1984. E’ l’anno in cui in India, a Bhopal, morirono 2300 persone e decine di migliaia vennero intossicate.
La responsabilità furono della Union Carbide India Ltd che solo successivamente (era il 1999 mi pare) divenne una controllata di Dow Chemical Co.
Detto questo e al di là delle enormi responsabilità della Union Carbide, un conto è discutere del criterio specifico suggerito dalla compagnia, un conto è discutere delle responsabilità compagnia nella storia recente.
Il criterio sugli scenari credibili risulta accettato e diffusamente presente nella letteratura specialistica del settore (per esempio):
1) Perry’s Chemical Engineers’ Handbook, 7 edizione, pag. 26-50
2) Fthenakis, Prevention and control of accidental releases of hazardous gases, p. 30.
Esso può essere un utile strumento, se correttamente utilizzato. Un po’ come un bisturi chirurgico.
Saluti
Marzio
Scritto il 1-10-2010 alle ore 16:31
Complimenti, molto stimolante (m’hai fatto venir voglia di leggere il libro sui cigni neri…).
per UGO: non è che te l’ho mandato io il commento negativo sulla campagna televisiva?
ciao
Scritto il 1-10-2010 alle ore 20:19
per PGB: no, letto online penso…
concordo con marzio: una cosa sono i criteri e una cosa è la responsabilità penale e/o soggettiva – faccio una considerazione che in questi giorni con i processi che sto seguendo sta venendo fuori: io posso esser il più bravo rspp del mondo, con il ddl sensibile, ma le lesioni colpose e la sentenza (potenziale) di condanna penale è da metter sempre in conto… ovvio che non c’è paragone tra l’evento citato e il caso fatto da me, ma era per render l’idea
Scritto il 2-10-2010 alle ore 10:16
Buongiorno Marzio,
Da alcuni anni mi occupo di Manutenzione e Sicurezza Industriale e lavorando per diverse Aziende e visitandone molte altre mi sono fatto l’idea che sebbene sulla sicurezza industriale esistano degli interessanti studi e teorie, occorre lavorare ancora molto sulla testa degli imprenditori Italiani.
Purtroppo infatti, l’assoluta insufficienza di controlli periodici, presso le Aziende, da parte di organi preposti come ispettori dell’ASL,dell’ARPA, ispettori VVFF, etc. ha fatto cristallizzare nella testa di parecchi imprenditori che è meglio correre il rischio di una sanzione ogni 6-8 anni piuttosto che sopportare il costo di un adeguamento.
Questa serpeggiante mentalità fa sì che oggi il dipendente preposto alla sicurezza industriale ASPP o RSPP, piuttosto che essere utilizzato per fare vera prevenzione (…..a parte quella cartacea con diffusione di dispense e qualche ora in aula che costano poco) è invece utilizzato come paravento in caso di inattesa ispezione, evitando in tal caso che l’ispettore vada a ficcare il naso nei punti caldi.
Non solo, ma se chi si occupa di sicurezza all’interno di un Azienda, cerca di darsi da fare per portare il tutto ad un livello di conformità accettabile deve stare attento a come si muove per non ledere su costi nemmeno previsti a budjet.
Mi chiedo allora a che cosa servono tutte queste norme se controlli non se ne fanno?
Vincenzo
Scritto il 2-10-2010 alle ore 11:16
Complimenti. Il commento è redatto con precisione ed efficacia. L’argomento è di grande importanza ed attualità.
Scritto il 6-10-2010 alle ore 15:03
Grazie ancora dei complimenti…
Vincenzo, hai ragione. I controlli sono insufficienti. Ma io penso che il controllo alle aziende, pur se necessario, non sia la soluzione al problema della sicurezza sul lavoro.
Conosco molti ottimi professionisti nell’ASL e nei VVF. E fanno anche loro quello che possono, nel limite delle loro risorse.
Ma, ripeto, il controllo non risolve (tutto). E’ la gestione che risolve. Un accesso ad una cisterna con gas asfissianti deve essere proceduralizzata e gestita PRIMA, la formazione dei lavoratori deve essere erogata PRIMA, l’attrezzatura deve essere data in uso PRIMA, ecc.
Le verifiche esterne sono importanti, ma quello che contano sono la gestione ed i controlli svolti all’interno dell’organizzazione.
Il vero problema è quello di dare uno scopo profondo all’imprenditore. Fargli comprendere che operare in condizioni di rischio minimo è un REALE vantaggio per l’azienda. Fino ad ora non è stato proposto alcun pratico metodo di analisi dei costi e dei benefici. Certo partiamo da una oggettiva condizione di svantaggio:
1) la NON sicurezza possiede vantaggi economici percepibili (non spendo in sicurezza e quindi evito un costo quantificabile) ed esattamente determinati nel tempo (non spendo ora. Risparmio ora)
2) la sicurezza non possiede un vantaggio univocamente quantificabile (ok, investo in sicurezza, ma quanto mi torna indietro?) con l’aggravante che tale vantaggio non è bene definito nel tempo (l’eventuale risparmio è collocato nel corto, medio o lungo termine?)
La quantificazione e la collocazione temporale dei vantaggi dell’agire sicuro sono ancora oggi i maggiori scogli da superare.
Speriamo nella Commissione Consultiva Permanente…
Ciao
Marzio
Scritto il 15-10-2010 alle ore 15:27
Buongiorno Marzio,
Purtroppo per dare uno scopo profondo all’imprenditore devi prima metterlo di fronte alla concreta possibilità di andare in galera, altrimenti non si risolve nulla nemmeno con controlli più frequenti.
Aggiungo inoltre che nel complesso è tutto l’apparato normativo e fiscale che deve muoversi assieme facilitando l’impresa, perchè se l’imprenditore scopre che non adempiendo a qualche norma sulla sicurezza rischia la galera, con tutte le tasse che già paga e tutta la burocrazia che deve sorbirsi, prende e trasferisce tutta l’azienda altrove.
Saluti, Vincenzo
Scritto il 16-10-2010 alle ore 14:06
Vincenzo, non credo che questo approccio risulti realmente risolutivo al problema della sicurezza in azienda.
Chiediamoci perché i tassi infortunistici variano, e di molto, da un settore industriale ad un altro. Possiamo forse dire che il settore chimico possieda forse meno rischi del settore legno? Forse un’azienda sottoposta a direttiva Seveso possiede meno fattori di rischio rispetto ad un’azienda che produce cornici?
E’ soprattutto la questione culturale che fa la differenza, la formazione alla sicurezza, l’adozione di comportamenti sicuri nel luogo di lavoro.
Questa settimana in provincia di Treviso, è morto un importante imprenditore, fondatore di un grande gruppo indutriale, perché controllando i lavori del tetto, ha messo un piede in fallo ed è caduto da 10 metri di altezza.
http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=122396&sez=NORDEST
Sempre in questa settimana, un operaio, sempre in provincia di Treviso, è morto a seguito dell’esplosione avvenuta in un recipiente che stava saldando.
http://tribunatreviso.gelocal.it/dettaglio/incidenti-sul-lavoro-esplosione-in-un-caseificio:-muore-un-operaio/2522023
Un imprenditore ed un operaio accomunati dal medesimo destino.
Questi incidenti non si sarebbero evitati promettendo “la galera” al datore di lavoro. Anche loro muoiono negli infortuni sul lavoro.
Solo un’opera culturale che includa l’intera società potrebbe riuscire nell’impresa di diminuire l’accadimento di queste tragedie.
E qui dovrebbero essere coinvolti tutti, scuola, associazioni di categoria, parti sociali.
Incentiviamo economicamente le aziende che operano in sicurezza. La sola punizione, se non compresa, non serve a nulla.
Saluti
Marzio Marigo
Scritto il 8-3-2011 alle ore 12:54
Sono d’accordo con l’ultimo commento di Marzio quando scrive che: “Solo un’opera culturale che includa l’intera società potrebbe riuscire nell’impresa di diminuire l’accadimento di queste tragedie“. E ancora: “La sola punizione, se non compresa, non serve a nulla“.
Sull’incentivare le aziende che operano in sicurezza sto cercando di coinvolgere sinergicamente su questo tema anche gli assicuratori (Compagnie) che possono e devono premiare proprio le aziende più attente su questi temi e mi pare che qualcosa si stia muovendo.
Scritto il 16-3-2011 alle ore 10:17
[…] E, in definitiva, la presenza del cigno nero. […]